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Non possiamo continuare a lavorare NO STOP, senza pause. Perderemmo i momenti di serendipità in grado di farci brillare

Non posso non spiegarvi questo termine fantastico: SERENDIPITÁ. 

Essa indica l’occasione di fare scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un’altra. 

Per accendere un fuoco servono diversi elementi disposti secondo una pianificazione ben precisa.

Si inizia con della carta, quindi si aggiungono dei rametti di piccola dimensione in modo da creare una piramide e, solo a questo punto, si possono disporre i ciocchi, quei grossi pezzi di legno in grado di ardere a lungo. 

C’è un elemento però che spesso si tende a tralasciare quando si imposta la legna per accendere un fuoco ed è lo spazio.

È lo spazio tra i diversi elementi combustibili che permette al fuoco di accendersi e continuare a bruciare.

Senza uno spazio adeguato il fuoco muore in pochi secondi perché non ha l’ossigeno sufficiente per bruciare.

Questa legge della natura è valida anche nella nostra vita, specialmente in quella lavorativa. Quando la nostra settimana è densa di impegni tanto da assomigliare all’ultima schermata di una partita di Tetris allora abbiamo un problema.

Non c’è abbastanza ossigeno per far bruciare il nostro fuoco e a poco serve dare fondo ai fiammiferi che abbiamo a disposizione nel vano tentativo di tenere in vita una fiamma che si sta inesorabilmente spegnendo. 

Nella mente di molte persone essere impegnati equivale a essere produttivi ma in realtà non è così: si può essere molto impegnati ma poco produttivi e viceversa. A questo si aggiunge il fatto che tutto sembra essere urgente, che si tratti di scrivere un’email o di salvare una vita.

Questa costante pressione ci imprigiona in una dimensione di stress continuo e questo in breve tempo ci porta a sentirci sopraffatti e sempre più incapaci di staccare.

Rallentare, o anche solo concedersi una pausa di tanto in tanto, ci fa sentire a disagio.

E mentre il tempo scorre e questo schema si ripete giorno dopo giorno, le persone iniziano anche a sentirsi sempre più in colpa perché trascurano la propria famiglia, la propria salute e i propri sogni nel nome di non si sa neanche bene cosa, ormai.

Insaziabilità, conformismo e accettare richieste lavorative senza fondamento ci hanno imprigionato nel mondo del superlavoro.

Questa situazione dipende da tre principali fattori:

  1. il desiderio di volere sempre qualcosa di più o migliore di quello che abbiamo
  2. il conformismo
  3. la noncuranza con cui accettiamo compiti di poco conto o lavori in cui l’impegno è alto in termini di energie investite e talenti, ma il risultato non è all’altezza.

Il mercato del lavoro ha instillato nella mente delle persone che sacrificarsi in nome della propria professione è un comportamento giusto, anzi è l’unico elemento in grado di dimostrare la propria competenza.

Quante volte si sente dire “ho lavorato fino alle due di notte” oppure “salto la pausa pranzo perché devo lavorare”. 

Quando ci confrontiamo con comportamenti di questo tipo viene spontaneo sentirci in colpa se finiamo il nostro lavoro entro l’orario previsto.

La sensazione predominante in ambienti di lavoro problematici è proprio quella che se non si lavora fino allo sfinimento allora non ci si merita lo stipendio

Uscire da questo loop autolesionista è il primo passo per poter cambiare la nostra situazione

Tra le attività da eliminare per non perdere tempo ci sono, per esempio, le riunioni inutili, le risposte monosillabiche alle email o alle chat, la creazione di report che non hanno valore per gli obiettivi aziendali, iniziare un task non avendo a disposizione tutto il materiale per concluderlo, e così via. 

Il “white space” di Julie Funt in “A minute to Think” è la soluzione a una vita frenetica che ci lascia senza fiato.

Come scoiattoli a un rave party ognuno di noi passa le sue giornate destreggiandosi tra mille incombenze.

Siamo sovraccarichi di lavoro, perennemente connessi e arriviamo a sera senza fiato né soddisfazione.

La stanchezza che proviamo non è quella sana di chi ha fatto uno sforzo per raggiungere un obiettivo ma quella di chi è costantemente sotto assedio.

Per fortuna una soluzione c’è e si chiama “white space” – spazio bianco, in italiano.

Il white space altro non è che tempo libero da impegni lavorativi, dedicato a pensare, respirare, ponderare, pianificare e creare. Anzi, più che libero, il white space è un tempo liberato dalla frenesia della vita, una pausa strategica che una volta implementata nella propria quotidianità non sarà più possibile ignorare.

Può durare pochi minuti o un giorno intero, può essere pianificato o improvvisato. In entrambi i casi ci permette di ricaricare le batterie e riprendere fiato. 

La sua funzione è quella di dare “aria” alla pagina, cioè di permetterne una fruizione piacevole che non faccia sentire compresso chi legge o guarda.

Il white space non è una novità: è sempre esistito nelle nostre vite, ma è stato progressivamente sacrificato nel nome di calendari traboccanti di impegni, caselle email straripanti e la pressione sociale di fare sempre di più.

Il white space non è un sinonimo di meditazione. Quando si medita, infatti, si cerca un punto su cui focalizzarsi – un mantra, per esempio, o il respiro – e quando la nostra mente comincia a vagare la si richiama all’ordine.

È come quando si porta il cane al parco.

Il cane è la nostra mente e, quando inizia a tirare, gentilmente gli diciamo di tornare al passo. Infine, il white space non va confuso neanche con la mindfulness.

La mindfulness, come la meditazione, ha bisogno di istruzioni

Mindfulness è quando ci concentriamo su una sola cosa. 

Può essere uno stimolo sensoriale, una conversazione, un compito.

È la piena concentrazione nel qui e ora.

Attraverso la mindfulness e la meditazione insegniamo alla nostra mente un nuovo modo per dialogare con i pensieri. Immaginiamo questi pensieri come fossero nuvole: li vediamo arrivare e cambiare forma, ma non li seguiamo quando si spostano fuori dal nostro campo visivo. 

Durante queste due pratiche noi continuiamo a guardare una stessa porzione di cielo, non importa cosa la attraversi. Nel white space, invece, noi permettiamo alla nostra mente di seguire queste nuvole. Il nostro cane, durante il white space, è libero di correre per tutto il parco senza guinzaglio e senza nessuno che lo richiami per farlo tornare. 

E così anche la nostra mente è libera di esplorare, stiracchiarsi, recuperare le forze e correre dietro alle idee.

Concedersi una pausa strategica è il primo passo per raggiungere il white space

Una pausa strategica non è una pausa in cui abbandonarsi alla pigrizia o alla procrastinazione. Non è neanche una pausa dedicata al dolce far niente o un momento in cui concedersi un sonnellino. Una pausa strategica è una pausa in cui si lasciano fluire le idee

Può essere breve o lunga, non importa, ma deve diventare un’abitudine quotidiana. Prendersi una pausa strategica permette al nostro cervello sovraccaricato di avere il tempo per fare quelle associazioni mentali necessarie a darci una nuova prospettiva di quello che stiamo facendo.

I quattro tipi di pausa strategica.

  1. La pausa strategica per recuperare serve per riavviare la nostra mente, proprio come si fa con un computer.
  2. La pausa strategica per ridurre, invece, serve a lasciar andare i pensieri di cui non abbiamo bisogno. È come se un bulldozer arrivasse e spazzasse via tutto il superfluo.
  3. La pausa strategica per riflettere è una porzione di tempo dedicata a prendere decisioni. Per esempio, per un analista finanziario una pausa strategica di riflessione potrebbe consistere nel guardare i numeri e cercare di capire quale storia rivelano in modo da ponderare investimenti futuri. Per un venditore, invece, potrebbe essere immaginare il proprio cliente ideale e capire quali potrebbero essere i suoi desideri più profondi. 
  4. Infine il quarto tipo è la pausa strategica per costruire. È qui che si formano le idee, si inventano soluzioni, si delineano processi e strategie. In questo caso la nostra mente assomiglia a una farfalla che si appoggia su diversi fiori, seguendo rotte che possono sembrare senza senso, per poi tornare con del nettare.

Il Wedge

Il Wedge è una variazione del white space che ci permette di usarlo più facilmente nella nostra quotidianità

A volte concedersi lunghe pause strategiche può essere un lusso che non si ha.

Per questo esiste quello che Juliet Funt ha chiamato Wedge (letteralmente, spicchio). Il Wedge è una piccola porzione di white space che possiamo inserire tra due attività. 

Il Wedge concede a tutti un momento per pensare, pianificare, creare.

Essendo di breve durata è uno strumento molto flessibile che possiamo usare tutti, anche quando si lavora in team. Per esempio, si può usare il Wedge per pianificare la nostra giornata, prendendosi una pausa strategica tra il controllo delle email e l’inizio del nostro lavoro. 

O ancora possiamo sfruttare il Wedge per ponderare una risposta, specialmente quando ci verrebbe d’istinto rispondere per le rime a un’email in cui ci viene proposto l’ennesimo meeting senza senso. 

Il Wedge ci impedisce di agire senza pensare e commettere così degli errori, anche gravi. È una sorta di momento di decompressione che ci permette di respirare e poi decidere cosa fare.

Il Wedge è anche uno strumento per controllare il proprio tempo e capire quali sono le nostre priorità. È un modo per rimanere in equilibrio quando la giornata diventa stressante. 

Non c’è una ricetta universale per inserire il Wedge o il white space nella nostra quotidianità: ognuno di noi può decidere quando farlo, basandosi sulle proprie necessità o desideri. 

Può essere nel tragitto tra casa e lavoro, oppure quando si decide di staccare per qualche minuto da tutto quello che è tecnologico e uscire a respirare l’aria fresca. O ancora può essere durante la pausa pranzo.

Una delle caratteristiche del white space è proprio l’assenza di regole per applicarlo: se non fosse così, non sarebbe white space.

Le 4 forze responsabili del nostro sovraccarico professionale

Juliet Funt chiama “ladri del tempoquattro fattori chiave per il lavoro così come lo intendiamo oggi.

In sé per sé questi asset sono positivi e utili ma diventano negativi quando portati agli estremi.

Ognuno di noi ne ha uno dominante: conoscerlo permette di limitarne gli effetti negativi.

SPINTA

Il primo è quello che viene definito spinta, o impulso. È solo grazie a questo asset che le cose vengono fatte, nonostante le difficoltà. Kath Koschel ne è un esempio. 

Nell’arco di cinque anni questa atleta ebbe due seri infortuni che, secondo i medici, le avrebbero impedito di camminare di nuovo

Contro ogni previsione si riprese da entrambi e facendo tesoro di queste esperienze ha fondato un’organizzazione no-profit che promuove la gentilezza e ispira le persone.

L’eccesso di spinta nasce da un mondo che fin da piccoli ci ha abituato a non lasciare mai andare nulla.

Facendo così, però, rischiamo di perderci per strada e finire in burnout.

Il successo, infatti, è come una montagna che diventa più alta man mano che la scaliamo e proprio per questo se non ci focalizziamo su un determinato obiettivo non arriveremo mai in cima. 

Per tornare all’origine di questo asset è necessario imparare a essere selettivi e capire quali sono gli obiettivi da perseguire, lasciando andare tutto quello che non è utile allo scopo. 

ECCESSO DI ECCELLENZA

Il secondo ladro del tempo è un eccesso di eccellenza. L’eccellenza permette di raggiungere alti livelli di professionalità ma quando ne diventiamo schiavi si rischia di non finire un lavoro perché si perde tempo in dettagli non necessari. 

Si scivola così in quel perfezionismo nocivo che intrappola una persona fino a sfinirla.

Per capire meglio che è una risorsa finita, pensiamo all’eccellenza che abbiamo a disposizione ogni giorno come a un sacchetto pieno di monete d’oro. Se spendiamo una moneta d’oro per ogni cosa che tocchiamo, ben presto questa risorsa finirà. 

ECCESSO DI INFORMAZIONE

Il terzo è l’eccesso di informazione. Grazie a internet possiamo accedere a una mole di dati infinitamente maggiore di quanto si poteva fare fino a qualche decennio fa. 

Le nostre menti sono frastornate dalla quantità di stimoli disponibili e dalla quantità di nozioni che inconsciamente siamo convinti di dover sapere.

Prendersi una pausa e decidere di avere solo un limitato numero di fonti attendibili può essere un primo passo per contrastare il sovraccarico di informazioni. 

ECCESSO DI ATTIVITÁ

Il quarto è dato da un eccesso di attività. Alle persone che hanno questo come ladro del tempo dominante piace segnare compulsivamente su una lista tutte le cose fatte. 

Inoltre hanno un inconscio timore di rimanere senza nulla da fare, anche quando si parla di relax, un horror vacui che li spinge a fare, fare, fare senza mai fermarsi.

Il rischio, però, è di vedere le proprie risorse esaurirsi in breve tempo, e condannarsi a una malsana e prosciugante frenesia.

Anche in questo caso è necessario lasciare andare le attività che non portano ai risultati che desideriamo.

Adottare un mindset focalizzato alla riduzione permette di creare white space

Avere un mindset focalizzato alla riduzione significa prediligere il “meno” a discapito del “più”.

Meno spinta, meno eccellenza, meno informazione, meno attività, con l’obiettivo di mantenere questi asset tali e non farli diventare dei ladri del tempo.

Le domande della semplificazione sono un agile strumento per gestire al meglio il proprio tempo e i propri sforzi

Le domande della semplificazione

  1. La prima consiste nel chiedersi se c’è qualcosa che si può lasciare andare e serve per evitare un eccesso di spinta.
  2. La seconda è definire a che punto il nostro lavoro diventa abbastanza buono da potersi fermare e questo serve a contrastare il perfezionismo.
  3. La terza è chiedersi cosa davvero abbiamo necessità di sapere in modo da evitare il sovraccarico di informazioni
  4. La quarta è chiedersi cosa merita davvero la nostra attenzione, impedendo di trasformare ogni attività in frenesia.

Ci sono poi due diverse strategie per incrementare il proprio mindset focalizzato alla riduzione.

Si tratta del cosiddetto tonno vs krill.

Il tonno è un predatore al vertice della catena alimentare: catturandolo si può avere cibo per lungo tempo senza doverlo cercare ogni giorno.

 I krill invece sono minuscoli crostacei che fanno parte del plancton marino. 

Sono un’ottima fonte di proteine, ma molto più piccoli del tonno, per cui è necessario pescarli continuamente. 

Molti neofiti del mindset focalizzato alla riduzione cercano da subito di catturare un tonno per mettersi in saccoccia il risultato. 

Per farlo cancellano impegni e si prendono più giorni liberi di seguito. 

A volte, però, questa si rivela una scelta avventata.

Il consiglio di Juliet Funt è di iniziare usando la strategia krill e creando piccoli slot di 5 minuti in cui praticare il white space. Iniziare con il krill è meno rischioso perché permette di cambiare le proprie abitudini man mano, diventando più bravi nell’individuare quelle attività che possono realmente essere eliminate senza creare problemi al proprio lavoro o alla propria organizzazione. 

Le decisioni da prendere per catturare un tonno possono essere troppo grandi e drastiche per dei principianti e il rischio è di commettere degli errori irreparabili. 

L’urgenza è una scelta: per questo è necessario capire quando è reale e quando no.

Viviamo in un mondo in cui tutto è percepito come urgente ma in realtà la maggior parte delle cose non lo è. Possiamo usare tre livelli d’urgenza per decidere cosa fare subito e cosa invece può aspettare. 

Qualcosa è considerato “non urgente” quando non è necessario dare una risposta immediata, “tatticamente urgente” quando una pronta azione porta a ottenere un determinato risultato professionale, “emotivamente urgente” quando il senso d’urgenza è causato da un’emozione, dalla curiosità o dello stress. 

Diverse sono le occasioni in cui è necessario usare il Wedge per avere il tempo di capire il livello d’urgenza reale di una richiesta o di una necessità.

Per esempio prima di mandare un’email, prima di creare un nuovo prodotto, prima investire denaro in un business, prima di interrompere una persona che parla, prima di indire una riunione non precedentemente programmata, e prima di rispondere a una qualsiasi di queste richieste. 

La Lista Gialla è un altro strumento che Juliet Funt suggerisce per gestire i compiti non urgenti.

Si tratta di un documento in cui parcheggiare tutto quello che può essere fatto più tardi, imparando così a liberare la mente da questo opprimente e onnipresente senso di urgenza. 

Questo semplice strumento permette anche di eliminare molti task inizialmente considerati urgenti e poi, fatto passare un po’ di tempo, diventati completamente irrilevanti. 

Un esempio a cui si può applicare la Lista Gialla sono le email.

Troppo spesso infatti vengono scritte email che non servono, generando loro malgrado un flusso di email che fa perdere tempo sia a chi le spedisce sia a chi le riceve. 

La Lista Gialla può anche essere usata come strumento per applicare il detto “scrivi da ubriaco ma rileggi da sobrio”. Qui infatti si possono appuntare idee e pensieri da riguardare una volta alla settimana.

Liberi dall’emozione della creazione, saremo in grado di capire quali portare avanti e quali invece scartare.

“È possibile catturare questa sensazione che sia domenica anche durante la settimana lavorativa. 

Tutto ciò che dobbiamo fare è recuperare – o scoprire per la prima volta – l’abilità di aggiungere quello spazio e quella riflessione in grado di accenderci. Cominciamo con un’unica rivendicazione: pensare è tempo ben speso.”

“Quando le persone si liberano dall’idea antiquata che il tempo non riempito sia un nemico, scoprono che prendersi un minuto per pensare è una formidabile fonte di potere professionale.”

Per cambiare il gioco, è necessario farlo in modo incrementale.

Conclusioni

Prendersi del tempo libero è fondamentale per ricaricare le nostre energie mentali. Farlo però non è così semplice di questi tempi perché siamo abituati a non staccare mai.

Per evitare di finire in burnout è necessario imparare a creare quello che Juliet Funt ha definito white space – cioè un tempo liberato da impegni lavorativi, dedicato a pensare, respirare, ponderare, pianificare e creare – e avere un mindset focalizzato alla riduzione.

Come già diceva Michelangelo a proposito del suo processo artistico di scultore, anche in questo caso vale il detto “meno è meglio”.

Nicolo Maria Mutarelli

Dicono che sia affidabile, empatico, divertente e creativo; lui ci crede poco ma si fida molto del prossimo e dei complimenti? Non ha paura delle imprese impossibili e non si ferma mai fino a quando non arriva dove intende arrivare. Ama la sua famiglia e il suo team come se fossero la stessa cosa, sa di essere permaloso anche se lo nega in modo imbarazzante.